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venerdì 22 luglio 2011

Capitolo 14 - L'odore della fioritura

Un'altra rampa di scale.
Era la terza o forse la quarta.
Da fuori, sullo sfondo del cielo ingombro di nuvole grigie, la casa non gli era parsa poi così alta.
Ma non aveva avuto più di qualche secondo per guardarla. Il capitano aveva ordinato subito di «penetrare nel fabbricato» alla ricerca di «eventuali sopravvissuti».
Erano entrati, una cinquantina di individui del Reparto Mobile in divisa blu, elmetto, parastinchi, giubbotto antiproiettile e beretta 92.
La casa era in condizioni pietose, corridoi ingombri di rottami indefiniti, stanza buie che sapevano di marcio, soffitti alti e inscuriti dall'umidità. E muffe, ovunque.
Si separarono in sei gruppi di 7-8 agenti ciascuno. Un primo gruppo scomparve in un corridoio laterale, un altro puntò al retro della villa. Loro e altri gruppi vennero spediti ai piani superiori. Il suo gruppo, comandato dal sovrintendente Longoni, aveva il compito di salire fino all'ultimo piano.
Giunse al pianerottolo. Fradicio di sudore come i suoi compagni e leggermente perplesso.
Longoni battè un piede sul pavimento rovinato e macchiato di muffa. – Cazzo, ma questo non è l'ultimo piano. – Si voltò e rovesciò la testa all'indietro per quanto la bardatura sulla nuca gli permetteva, – C'è ancora un piano, direi. Almeno un piano. – La poca luce arrivava al pianerottolo da alcune finestre con gli scuri sfondati. Senza rendersene conto i militari si erano raccolti in gruppo, le pistole sollevate o puntate verso il buio. Un buio curioso, che aveva qualcosa di solido.
– Potremmo cominciare a dare un'occhiata qui. – Propose uno dei militari, uno appena arrivato da Livorno di nome Bontoli o Tontoli. – Finito questo piano possiamo passare a quello sopra.
– Certo. Ma... – Longoni esitò per un attimo, poi decise di corsa, come se qualcuno gli puntasse una pistola alla nuca, – Meglio dividerci. Due salgono su, gli altri con me, sul piano.
Luciano fu tra i prescelti per il piano superiore. Lui e Bontoli.
– Attenzione, ragazzi. La scala è molto erta. Non fate le corse e non fate gli eroi. Qualsiasi problema... – ???Indicò il ricetrasmettitore alla cintura, – chiamate. Chiaro?
– Tutto chiaro. – Approvò lui, – Andiamo.

,,,

– Come fai di nome, tu? – Chiese al livornese, mentre salivano – qui è meglio chiamarsi per nome.
– Lido. E tu?
– Luciano. – Ridacchiò, – Lido è proprio un nome buffo.
L'altro si strinse nelle spalle, – Basta farci l'abitudine.
Non avrebbe saputo dire perché, ma non fu troppo sorpreso quando, arrivati al pianerottolo, videro sopra di loro un'altra rampa di scale. Lido invece ne fu impressionato, – Cristo santo, ma... – scese tre o quattro gradini, – ma si vede anche da qui! Come ha fatto il capo...
– Torna su. Non se ne sarà accorto.
Ritornò sul pianerottolo scuotendo il capo, – No, che cazzo. Non c'era un altro piano. Non c'era.
– Calmo. Li guarderemo tutti e due. – «E tutti gli altri infiniti piani dopo questo», gli venne spontaneo di pensare, curiosamente quasi divertito.
Penetrarono nel corridoio immerso nell'oscurità. C'era qualcosa per terra, ma non perdettero tempo a cercare di capire di cosa si trattasse. C'era un forte odore, nell'aria, qualcosa che ricordava il fondo bruciato e bagnato di una pentola di polenta. Un odore umido, freddo.
Luciano entrò nella prima stanza, – Libero! – urlò.
Lido entro nella stanza di fronte, – Libero!
Tre o quattro volte ripeté quella formula, sempre meno convinto. A che diavolo serviva? E se anche ci fosse stato qualcuno nelle stanze? A chi l'avrebbe detto, lui? A Lido?
Si fermò per un attimo, appoggiato alla cornice di una porta.
Frammenti di luce baluginavano oltre le finestre. Una luminosità grigia, inerte.
Dal fondo del corridoio, buio come una vecchia cantina, veniva un rumore sordo, una vibrazione bassa e quasi inafferrabile. Cercò di guardare meglio. Ebbe la sensazione che i profili dei muri oscillassero, si muovessero, respirassero. Sollevò la visiera e si strofinò gli occhi. Immobilità fredda e grigia, ma instabile, incerta. Quasi che la vecchia casa avesse trattenuto il fiato. Come per giocare.
Che idea idiota.
Scosse la testa e si voltò.
Alle sue spalle, a pochi metri da lui, un muro.
Un brivido lento, come il ricordo di un vecchio incubo. La sensazione di non riuscire a muoversi, di sprofondare senza fatica e senza rumore.
Si irrigidì e fece quattro passi. Il muro era solido, immobile, come se si trovasse lì da un secolo o quasi.
– Lido! Liiido! Liiiiidoooo! - Urlò.
La voce gli rimbombava in testa, come quando aveva il raffreddore.
Si voltò ancora.
La porta alla quale si era appoggiato era scomparsa, divorata da un muro.
Di riflesso estrasse la beretta e sparò tre colpi. Si aprirono fori oscuri e profondi, come ferite a un corpo vivente.
– Che cazzo sei? – urlò, – Che... cazzo... sei?
Sottolineò ogni parola con la detonazione della sua beretta.
L'odore era diventato più violento, quasi intollerabile.
I muri vibravano, si muovevano lentamente, si avvicinavano.
– Fermi, bastardi. – sparava e gridava, – vi ho visto... non crediate che...
Il fondo del corridoio era lontano da lui, molto lontano. Sollevò gli anfibi con inattesa lentezza e cercò di mettersi a correre.
Scivolava, raschiava, si aggrappava inutilmente a un pavimento morbido, cedevole, vischioso. Una slow motion, con lui come protagonista. Aveva una paura fottuta e aveva voglia di ridere, di ridere a crepapelle. Quella casa maledetta lo stava ingoiando, digerendo e a lui veniva da ridere. Cessò di sforzarsi. Si sedette per terra. Sorrideva, la mente perduta in remoti ricordi che non sapeva di aver dimenticato..
Le porte scomparivano una dopo l'altra e la luce poco per volta svaniva.
Il suo corpo si scioglieva lentamente, come cera sulla stufa.
L'odore adesso non era più intollerabile.
Era diventato parte di lui.
ERA lui.
L'odore della fioritura.
L'odore della rinascita.
Le quattro pareti si chiusero lentamente, delicatamente su di lui.
Amandolo fino a consumarlo.

Shlomo si era stretto nelle spalle.
Sarebbe stato tutto inutile, lo sapeva.
Conosceva ben poco le liturgie e la catena di comando delle tante polizie italiane, ma sapeva che a un ordine superiore c'era poco da opporre e nulla da eccepire.
Gli stupidi sono uguali, ovunque e in ogni tempo.
Santonastaso aveva resistito più a lungo.
Era rimasto attaccato al telefono per una buona mezz'ora ma tutto quello che era riuscìto a ottenere fu una lunga e inutile discussione con un sottopiffero del ministro. «Ma io le dico che... ma no, non dico certo che non me ne importa nulla... ma se me lo passa potrei spiegargli che... non c'entra nulla... non si tratta di terroristi, come glielo devo dire?... Posso fare ricorso? Ma mi prende in giro?... mi può passare il ministro? No? Eccheccazzo, ma io sono qui per conto dell'AISA, lo sa che cos'è? Ma almeno il ministro lo sa che cos'è?
Chiuse il telefono e se lo cacciò in tasca.
– Niente da fare. Sono in arrivo. Un reparto mobile. Ordine diretto del ministro degli Interni
Shlomo non gli rispose subito. Respirò lentamente e indicò la villa. – Deve nutrirsi, adesso. Deve crescere. Poi toccherà a noi.
– Sono uno dei reparti di Genova, credo. Un reparto scelto. Ma sì, ma che cosa te lo dico a fare, tanto non sai di che cosa parlo.
Ebbe l'impressione che Shlomo, nascosto dietro l'ala del cappuccio, sorridesse, – Hai ragione. Di Genova e di reparti mobili della polizia non so nulla. Completamente nulla.

7 commenti:

  1. Postato a nome di Massimo Citi.
    Che si è scordato di dirmi il titolo, perciò ne ho messo uno io di autorità :-P

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  2. Bello! :)

    Anche il titolo scelto da autorità è ben azzeccato. :)

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  3. Commento meditato, perché ho letto il pezzo in anteprima. Casa che ti divora... davvero horror, ma anche orridamente umoristica.

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  4. L'idea della casa che mangia è molto carina.

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  5. Sviluppo inaspettato, com'è giusto che sia. Sotto il prossimo, la casa ha fame.

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  6. Grazie a tutti per i commenti. In particolare grazie a Davide... Al titolo, ahimé, è stata una cosa completamente dimenticata. Non ho pensato di imprimere una grossa modifica alla vicenda, comunque. La fame della casa può anche essere una delle sue tante manifestazioni.
    In quanto all'aspetto orridamente comico, beh, mi diverte - poco pasoliniamente, lo ammetto - maltrattare un pochino i nostri poliziotti.

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  7. L'accenno a Genova 2001 e' non casuale, penso. Anche per la ricorrenza di questi giorni (sono dieci anni da quei fatti la': un bel pezzo di vita).

    Il capitolo mi sembra ottimo, e si tiene assolutamente con quel che viene prima. L'unico rischio, adesso, e' il carnage puro con condimento di budella a tonnellate: quanta gente c'e', adesso, in casa?

    Barney

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