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giovedì 25 agosto 2011

Capitolo 19 - Il Catalizzatore

I militari schierati davanti a quel che rimaneva di Villa Gatto-Borghi rimasero interdetti davanti alla visione della Cosa solo per pochi minuti. Alcuni di loro erano stati in guerra, avevano visto compagni cadere, civili dilaniati e fusi e l'orrore di un conflitto in ogni sua forma. Non erano mai visto niente di quella portata, ma le forme di orrore a certi livelli diventano indistinguibili e ricadono tutti nella stessa categoria.
Aprirono il fuoco senza attendere che qualcuno glielo ordinasse. La voce dei fucili d'assalto Beretta ARX-160 si unì al ritmo della mitragliatrice leggera M249 e convogliò in un unica sinfonia verso il bersaglio. I proiettili non distrussero, non colpirono, non recisero, furono semplicemente inglobati nella struttura della Cosa che parve crescere a ogni colpo ricevuto.
Gli uomini allora decisero di passare alle granate in dotazione nei fucili Beretta. Gli esplosivi disegnarono traiettorie ellittiche ed entrarono in contatto con il bersaglio senza esplodere: non fecero altro che aumentare la mole e la fame della Cosa.
I soldati non ancora consci di quel che avevano davanti ed essendo addestrati a non cedere, decisero di passare a qualcosa di un po' più drastico: il FIM-92 Stinger, missile terra-aria spalleggiabile. Ne avevano portato solo uno. Modellò la sua traiettoria ed esplose a pochi centimetri dall'Essere. Sembrò barcollare per qualche secondo, gli occhi dei diciassette mostrarono le sclere, le bocche a formare un grido muto, nero. Il fumo dell'esplosione si diradò e la Cosa era sempre lì, minacciosa; le mani vibravano formando increspature coreografiche, le palpebre si aprivano e chiudevano all'unisono le labbra pronunciavano parole senza voce, una nenia indistinguibile, di antiche parole. I militari più prossimi alla Cosa si accorsero di non poter più muovere nemmeno un muscolo, paralizzati sul posto. L'ammasso di carne, calcinacci e tubi che un tempo era una villa, mosse lentamente verso gli uomini, mentre il raggio d'azione della maledizione si espandeva, rendendo immobile tutto ciò che era organico. Il primo soldato raggiunto dalle propaggini della Cosa venne inglobato con una specie di risucchio e sparì nel giro di pochi attimi, fucile d'assalto compreso. Quelli che erano stati così fortunati da rimanere al di fuori del campo della maledizione compresero la gravità della situazione e si dedicarono a una fuga appassionata.
La Cosa fagocitava ogni oggetto sul suo cammino, lasciando dietro di sé terra brulla e grigiastra, radici ferite come lignee mani disperate verso il cielo e una bava organica stile lumaca.

Shlomo osservava tutto quanto a distanza di sicurezza, l’Idolo dei Garamanti stretto al petto. Immobile, non per effetto di un qualche strano incantesimo, ma in attesa di qualcosa che non aveva ancora ben compreso. Una sensazione che gli brulicava alla base del cranio e si propagava lungo la spina dorsale in stilettate ghiacciate. Percepiva che non era ancora il momento, mancava qualcosa: il catalizzatore, qualcosa che innescasse il processo e che portasse a buon fine tutto quanto.
La Cosa crebbe ancora superando le cime degli alberi che pian piano stava portando alla sua essenza ed ora oscurava il sole, come un'eclissi apocalittica.
Shlomo rimase fermo, attorno a lui il vuoto e foglie danzanti che assumevano forme antropomorfe.

Il paesaggio alpino scorreva ai lati del treno su vetri talmente lindi da sembrare una proiezione tridimensionale. Hans osservava i sempreverdi e i piccoli sentieri che si inerpicavano lungo le coste delle montagne e sentiva già nostalgia di casa. Il dolore procuratogli dall'umidità era sopportabile, la malinconia era qualcosa che non era mai riuscito a gestire. Non aveva paura. Sapeva a cosa andava incontro e non avrebbe dovuto provare nient'altro che un senso di pace definitivo. Le vie delle emozioni umane erano imperscrutabili e lui, nonostante non avesse nulla di normale, era, volente o nolente, un uomo.
Sentiva il richiamo, oltre a quello della Cosa-casa, anche quello più sottointeso, ma allo stesso tempo roboante dell'Idolo.
Non mancava molto, una manciata di chilometri e poi avrebbe raggiunto il suo destino, quello per cui era nato.
Le montagne lasciarono il posto alle colline, poi alla pianura e infine giunse a destinazione. Zoppicando salì sul primo taxi e si fece portare in prossimità del luogo. Il tassista si rifiutò di andare oltre, nemmeno pagando il doppio della corsa. Allora camminò, con fitte di dolore che gli risalivano dalla gambe fino alla radice dei capelli, e giunse alle spalle del vecchio.
"Sono qui," annunciò.
"Ti aspettavo," replicò Shlomo.

10 commenti:

  1. Stiamo arrivando al punto in cui le trame s'intersecano, bene bene.

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  2. Ohi ohi, siamo agli sgoccioli... :) Bel pezzo!

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  3. Un pò di violenza, era quasi ora. :-) direi che Davide ha tirato un assist notevole al prossimo in ordine di battuta. Avanti un altro!

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  4. Gran bel pezzo anche questo, il finale si delinea sempre più nitido e appassionante :)

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  5. Arrivo a leggere solo ora.
    Bella giocata!

    Intanto ho sistemato la faccenda dell'indicizzazione.

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  6. Dave, aggiungeresti il mio nome tra i partecipanti? Reindirizza pure a davidecassia.blogspot.com
    Grazie.
    Ciao.

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  7. Bello, cominciamo a far collassare tutte le trame verso il finale.

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  8. Bene, si arriva alla resa dei conti! Vediamo chi la spunterà, e come! Il lavoro per i prossimi partecipanti sarà duro, ma epico ;-)

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  9. Mi piace come ogni capitolo mantenga l'atmosfera, ma cambi un po' le carte in tavola...

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