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giovedì 3 novembre 2011

Capitolo 12 + Gianluca Santini


Rumori impercettibili, comuni a tutte le case di una certa età. È il linguaggio segreto dei vecchi mobili e dei muri in perenne stato di assestamento.
Solo che in questo caso era diverso.
Tra i cigolii del legno e il lievissimo ticchettio di cose minuscole che si muovevano nelle pareti, la Casa aveva emesso miriadi di invisibili spore. Qualcuno lo avrebbe definito un meccanismo di autodifesa, altri una strategia di caccia. Si trattava di entrambe le cose. Peccato solo che la natura della Casa fosse ignota a tutti. O quasi.
Sentiva i piccoli umani - così fragili e approssimativi nelle loro limitazioni biologiche - che zampettavano nei corridoi e nelle stanze. Qualcuno era già morto, fatto a pezzi con disarmante facilità dalle creature-spore emesse dall'edificio. Organismi microscopici in grado di pescare nelle primitive paure del cervello umano e di dar loro forma a livello paraelementale. Ma anche cose più grosse e tangibili.
Non pochi sciocchi che avevano studiato Villa Gatto-Borghi nel corso dei decenni si erano concessi spiegazioni confuse tra scienza e spiritualità. Paroloni senza senso compiuto che avevavo la sola funzione di arginare il terrore senza nome rappresentato dall'edificio. Molti erano morti. Altri avevano lasciato perdere. Non pochi erano impazziti. Alcuni di loro erano tornati. Ora.
Eppure certe persone erano riuscite a sentire qualcosa visitando la Casa: piccoli umani con bloc notes e penna, torce elettriche e registratori audio. Scrittori e indagatori improvvisati, alcuni avevano percepito l'Oltre della Casa. Bipedi dall'intelligenza di poco superiore alla media, ma dotati di una marcia in più rispetto agli altri. Li aveva quasi ammirati quando erano usciti dalla villa, esclamando ad alta voce le ispirazioni per i loro libri e i loro articoli. La Cosa-Casa li aveva lasciati andare: le loro opere sarebbero state spore nella mente dei lettori, attirando nuovi visitatori. Loro erano comunque distanti dalle verità della Casa.
Verità che sarebbero comunque sfuggite ancora una volta. Le capacità umane erano troppo limitate per comprendere la vera natura della Cosa-Casa. Stakari-Botri, come l'avevano ribattezzato i tripolitani, prima che gli italiani invadessero le loro terre, strappando tutto ciò che avevavo di prezioso. La bizzarria della sorte era che quel nome se l'era inventato un padre missionario, poi ucciso “per sbaglio” perché si era schierato in difesa degli arabi. Alla Cosa era piaciuto e ora pensava a se stesso in quei termini, anche se era un nome senza vero Potere.

Ai tempi la Cosa-Casa proliferava presso un minuscolo villaggio arabo dello Sciara Sciat. A dire il vero non era ancora una “casa”, bensì una sorta di obelisco fungiforme temuto e venerato dagli zotici della regione. Aveva promesso protezione dagli invasori latini ai suoi più intimi adoratori, impegno mantenuto però solo per pochi giorni, quando aveva capito che gli italiani avrebbero comunque vinto quella stupida e inutile guerra. Al che Stakari-Botri anelava già la ricca Europa, assaporandone la ricchezza di carni e menti in cui avrebbe potuto sporificare.
Il Fato era dalla sua parte, perché tra gli ufficiali italiani c'era un elemento che costituiva per lui un naturale contatto, il tenente Guidobaldo Verzeni, rampollo di una famiglia in cui più di un membro si dilettava di arti che gli stupidi umani definivano “oscure”. Era stata forse una naturale affinità a guidare il Verzeni fino alla polla in cui il monolite spugnoso attendeva il suo nuovo, inconsapevole servo. Poche spore invisibili avevano permesso al tenentino di entrare in una sorte di trance allucinatoria. Tra i cadaveri ancora freschi degli arabi e dei turchi morti in battaglia pochi metri più in là, molti dei quali orribilmente invasi da muffe scure e ripugnanti, Verzeni aveva trovato il suo Dio. Sette giorni più tardi un mercantile pagato sottobanco dal ricco ufficiale trasportava l'obelisco, sigillato in una cassa, a villa Gatto-Borghi.

La casa, che ora era parte integrante di Stakari-Botri, era un monumento all'idiozia umana, infetta dagli esperimenti bislacchi fatti dagli idioti che giocavano con fuoco senza conoscerne il pericolo. Il perfetto brodo di coltura per la creatura, precipitata su quel pianeta molti secoli fa. Ai tempi era ancora una spora, portata dal vento e dall'autocoscienza limitata. Col tempo si era plasmata, crescendo di massa e di potenza. Gli echi del mondo dei suoi simili, distrutto eoni orsono da un evento cosmico, vivevano nel suo retaggio mnemonico. Ricrearlo lì, su quella palla fangosa abitata da forme di vita primitive, era un progetto più attuabile, man mano che trascorrevano gli anni. La villa, la villa era la sua meta perfetta. Infatti Stakari-Botri aveva proliferato, spargendo spore e plasmando menti, attingendo alle superstizioni religiose comuni tra gli umani. I Verzeni si erano dimostrati dei perfetti padroni di casa, anche coloro che, a differenza di Guidobaldo, non avevano alcun interesse nello studio delle cose occulte.

Un rumore interruppe parte del flusso dei pensieri della Cosa-Casa. Le spore invisibili della creatura sondavano la villa di secondo in secondo, manifestandosi a secondo delle esigenze nelle forme più opportune. Gli intrusi aumentavano di numero. In circostanze normali sarebbe stato solo un bene, un'occasione perfetta per aumentare il brodo di coltura. Del resto la creatura stessa attirava prede, di tanto in tanto, per nutrirsi. Ma tra questi nuovi visitatori percepiva presenze che in qualche modo temeva. C'erano i maledetti impiccioni che studiavano la villa da anni. Coloro che avevano limitato la sua sporificazione con i rituali giusti, col Segno, con la Geometria delle Cose e con la scienza.
Percepì la presenza del monaco, dell'Uomo di Legge monco e quella del moribondo, che potenzialmente era colui che più rappresentava un problema. Erano venuti lì per sfidarlo? Possibile, dopo aver dimostrato loro la sua virtuale invulnaribilità? Lo avevano circoscritto nei limiti della casa già anni prima, e questo per loro era un incredibile successo. Perché tornare per tentare l'impossibile? Una parte della coscienza di Stakari-Botri capì che c'erano di mezzo quelle strane cose chiamate relazioni umane. Rapporti parentali che spingevano quelle scimmie a correre rischi immani per salvare i loro consanguinei. Qualcuno di sbagliato era entrato nella villa e gli altri stupidi bipedi erano accorsi a salvarlo.
Eppure un sussulto tanto raro quanto imprevisto della sua massa primaria, nascosta nel cuore della casa, gli fece capire che aveva paura. Spinti dalla feroce autoconservazione della prole e armati delle conoscenze proibite che il monaco studiava da anni, potevano forse causargli seri danni.
Distruggerlo?
Il pensiero lo turbò. Per eliminarlo del tutto avrebbero dovuto ricorrere ad armi di cui senz'altro non disponevano ancora.
O forse sì?
Quel dubbio minava la solida, imperturbabile determinazione della Cosa-Casa. Una vera e propria novità per la creatura fungiforme, che conosceva la paura solo in qualità di riflesso della mente scimmiesca degli umani.
Era dunque giunto il momento per porre fine a quella storia. Non era più il tempo di giocare con le spore allucinatorie e con le micotossine di media complessità a cui aveva dato vita finora. I suoi nemici più potenti si preparavano a entrare. Avrebbero trovato la morte. Si sarebbero uniti al brodo di coltura. Forse ne avrebbe lasciato vivo qualcuno, amputando le sue mani, di modo che non potesse più attingere alla Geometria delle Cose per tracciare o costruire altri Segni. Lo aveva già fatto con l'Uomo di Legge. Doveva essere un monito. Evidentemente non era bastato.
Tuttavia la Cosa-Casa si sentiva pronta. Distruggendo il monaco e il moribondo avrebbe distrutto anche il vincolo che lo confinava alla villa. Il che voleva dire tornare a sporificare il lungo e in largo.
Il tempo era maturo.
Stakari-Botri iniziò a emettere micotossine e a plasmarle. Presto, molto presto avrebbe ottenuto una vittoria che stava nell'ordine naturale del creato. Il più forte sconfigge sempre il più debole. Di certo lui non avrebbe concesso eccezioni.

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