Il treno correva sui binari, sfrecciando nel silenzioso paesaggio montano. Le Alpi, come denti appuntiti di una creatura dormiente, mangiavano il cielo, coprendo gran parte del panorama. Hans guardava fuori dal finestrino, senza registrare davvero il mondo attorno al convoglio. L’umidità gli si era infilata dentro, ma era tollerabile. La sua mente – il suo dono – era proiettata oltre le montagne, era focalizzata su quella creatura. La creatura verso cui stava andando.
La Cosa-Casa osservava con i suoi tanti occhi lo spettacolo della paura umana. Piccole formiche terrorizzate, consapevoli di essere a un passo dalla morte. Si agitavano, confusi e disperati. La Cosa-Casa avanzò, indifferente. Dall’alto vedeva che alcuni di quegli esserini si erano fermati e guardavano nella sua direzione. Indossavano vestiti pesanti, elmetti, protezioni e imbracciavano armi. Armi inutili, come la Cosa-Casa sapeva. Ma non lo sapevano loro, abituati a considerarle estensioni del proprio corpo.
La creatura avvertiva dentro quei pazzi la determinazione marziale. Sentiva quello che avevano passato in altri campi, guardava nelle loro anime le battaglie a cui avevano preso parte. Nulla in confronto a ciò che li attendeva ora.
I militari alzarono i fucili e le pistole e le mitragliatrici. Fecero fuoco tutti insieme, in sincronia perfetta. La Cosa-Casa non si fermò, mentre osservava i fiumi di proiettili sgorgare dalle canne delle armi. Diverse traiettorie terminavano sul suo corpo, tanto da sembrare prolungamenti del suo stesso essere. La Cosa-Casa in effetti inglobava e inglobava e inglobava. Tentacoli di piombo. A ogni colpo diventava più grande, sempre un pochino più grande. Ogni propaggine era nutrimento da parte di quelle armi inutili.
Le montagne si abbassarono, schiacciate dal peso del cielo. Diventarono colline sotto gli occhi di Hans. Il treno continuava la sua folle corsa, come se sapesse che qualcosa di incredibile stava succedendo nella città di destinazione. I binari laceravano il paesaggio, parevano ferite inferte da artigli di creature troppo grandi per appartenere a questa dimensione. Hans sentiva – il dono! – la forza del richiamo della creatura. Percepiva l’Idolo e Shlomo. Poteva quasi sentire la voce dell’Idolo, che lo invitava al suo destino.
Pian piano i tentacoli si assottigliarono e infine scomparvero. Mentre gli ultimi proiettili venivano inglobati nella massa di mattoni e tubature della creatura, i militari si guardarono, indecisi sul da farsi.
La Cosa-Casa sentiva che stava per arrivare anche lui, il catalizzatore. Avvertiva il suo avvicinarsi e sorrideva con le sue tante bocche. Avanzò, mentre i soldati decisero di passare agli esplosivi. La creatura avvertì le prime detonazioni a qualche centimetro di distanza da sé, ma non se ne curava nel suo lento avanzare. Granate, piccole e insignificanti. A ogni boato, il terreno vibrava, gli uomini tremavano, la Cosa-Casa avanzava, diventando ancora più grande.
La pianura si sostituì ai piccoli rilievi collinari. Hans iniziava ad avvertire la vicinanza. Stava recandosi all’appuntamento con il Fato, ma era tranquillo. Calmo come la pianura che vedeva attorno fuori dal vetro. Sapeva cosa lo aspettava ed era consapevole di tutto. Nonostante gli avvertimenti della nonna, l’uomo con il dono era conscio del suo destino. I campi assumevano di tanto in tanto colori opachi, sporchi, come se fossero vestiti di un drappo di malinconia. Un velo oscuro, il sudario del mondo.
Le granate finirono, come erano finiti i proiettili. La Cosa-Casa dentro di sé vibrava di piacere. I suoi tanti occhi osservavano i soldati, che imperterriti avevano preso in mano un lungo tubo verde. Un missile uscì dalla bocca buia di quell’arma. Il silenzio, durante il volo del missile, era carico di speranza da una parte e curiosità dall’altra. La detonazione che ne seguì fece tremare tutti, persino la Cosa-Casa. Il fumo avvolse la scena e si diradò poco a poco.
La creatura si sbilanciò appena, ma ad alcuni sembrò solo un’impressione. La Cosa-Casa non era rimasta particolarmente colpita dal missile, sembrava più stupita che danneggiata. Avanzò, intonando una canzone maledetta in una lingua sconosciuta.
I soldati più vicini non riuscirono a muoversi e allora – oh, sì, allora sì – iniziarono a sentire la vera paura dilagare dentro di loro. Quelli più distanti iniziarono a indietreggiare, stupiti, confusi e, anche se non l’avrebbero mai ammesso, terrorizzati come bambini. La creatura continuava la sua lenta marcia, avvicinandosi agli uomini immobilizzati dalle sue parole di magia. Quando quei piccoli esseri giunsero a contatto, si udì solo un debole risucchio. La creatura inglobava e inglobava e inglobava, senza sosta. Sempre più grande, a oscurare il cielo e le macerie della villa.
I militari più distanti ripiegarono disperati.
Il treno rallentò e si fermò in stazione, stridendo sulle rotaie. Hans scese zoppicando e si recò nella zona dei taxi. Aveva avuto tutto il tempo del viaggio per riflettere su di sé, sulla Casa e sull’Idolo. Ora non era più tempo per riflettere, era il tempo per scendere in campo al fianco del monaco.
Hans diede l’indirizzo al conducente e si lasciò guidare lungo le vie della città, osservandone la tranquillità e la calma. La quiete prima di arrivare in vista del quartiere della villa. In lontananza si udivano boati ed esplosioni. Il tassista fermò l’auto e fece scendere Hans, che inutilmente cercò di convincerlo a proseguire fino alla zona della villa.
Il taxi scomparve dietro la strada, lasciando Hans al proprio destino. Camminando e imprecando per le fitte di dolore, si diresse verso la villa – o meglio quello che ne restava. Giunse in vista del perimetro creato dalle forze dell’ordine in tempo per assistere alla ritirata dei poveri militari.
Shlomo lo sentì arrivare alle sue spalle. Infine il catalizzatore era giunto sul luogo. Forse esisteva ancora una speranza. Forse.
«Sono arrivato» disse Hans.