Lo squillo del telefono riuscì a stento a svegliarlo, perso com’era in un mare plumbeo di sonno rinforzato dalla birra. Stefano si trascinò barcollando dal divano fino al telefono, gli occhi semichiusi e una gran voglia di mandare al diavolo l’importuno di turno. Prima di afferrare la cornetta, un momento di lucidità, poteva essere solo Eva.
-Dimmi Eva, che c’è? Cosa è successo stavolta?
Un sospiro, più pesante di qualsiasi parola. Un rumore che aveva imparato ad odiare.
-Bruno è uscito di nuovo con Andrea e sai che non mi piace che nostro figlio lo frequenti.
-E io che ci posso fare? Bruno è maggiorenne, e poi lo ha detto anche il giudice: io ho l’obbligo di mantenerlo, non di interferire nella sua vita.
Una pausa, attimo prezioso per Eva per buttare fuori un altro sospiro.
-Stefano, li ho sentiti parlare. Andavano a Villa Gatto-Borghi: per questo ti ho chiamato.
Per un momento Stefano non riuscì a capire. Il nome di quella villa andava a sbattere contro una porta chiusa nella sua mente, un posto che da decenni cercava di cancellare dalla sua memoria. Dopo tutto quel tempo. Di nuovo.
-Mi vesto subito. Lo vado a prendere.
Eva aveva sentito il cambiamento nella sua voce, un tono che la riportava al passato.
-Stefano, ma ce la fai a guidare? Non avrai mica bevuto ancora?
- No no, sono mesi che non tocco alcool.
Le bugie gli erano sempre riuscite bene quando si trattava di rassicurarla, eredità di un matrimonio crollato troppo presto per i suoi gusti.
- Sta tranquilla, te lo riporto indietro. Stavolta andrà tutto bene.
Stefano si massaggiò le tempie, gesto inconscio che faceva sempre per scacciare il mal di testa da dopo sbornia. Lo specchio gli restituì la sua immagine invecchiata, daperdente. L’immagine di una vita che aveva imparato ad odiare giorno dopo giorno. Prese le chiavi della macchina, deciso ad agire. Villa Gatto- Borghi. Di nuovo. Con suo figlio.
Sono fottuto, pensò prima di uscire.
Eva fissava con aria assente le foto sul mobile: foto di Bruno da bambino, foto di Bruno con lei; in un angolo distante una rarissima immagine di Stefano e di lei, molti anni prima. Un altro sospiro, pausa prima di un tuffo nelle acque più profonde della sua memoria, prima di aprire il cassetto di cui solo lei aveva la chiave. Quello che conteneva tutte le foto di Villa Gatto-Borghi.
Il Vicebrigadiere Santini era un uomo rude e quando quel cretino in divisa azzura gli si era parato davanti dovette appellarsi a tutta la sua calma per non urlare.
-Fermi tutti. Che ci fate qui? deferite le vostre generalità!
Oh,Signore, pensò Santini, l’uomo era anche peggio di quello che sembrava.
-Tanto per cominciare Callaghan, si dice “fornire le generalità”, non” deferire”, punto secondo: qui le domande le faccio io; infine se continui ad agitarmi addosso quella pistola io te la strappo di mano, te la ficco nel culo e poi premo il grilletto! E forse, non necessariamente in quest’ordine. Quindi vediamo di non farci male.
-Gaetano, sono dei Carabinieri. Posa l’arma.
In quel momento Santini notò l’altra agente, una donna dai capelli rossi. Sembrava decisamente più intelligente del compare, magari avrebbe potuto rendersi utile. L’idiota aveva rinfoderato la pistola per scattare in una pessima imitazione di saluto militare.
-Signorsì, Signore. Eravamo sbalzati in vostro appoggio. Signore.
No, per favore, pensò Santini, è uno scherzo. Bestemmiò tra sé, mai possibile che a solo due anni dalla pensione dovesse ancora sopportare dei pezzi di merda del genere. Si girò verso la rossa, sussurrando.
-Sbalzati, eh?
-Lasci perdere.
La donna sembrava nauseata.
-Bene, Oberwalder, vediamo di combinare qualcosa prima di andare a casa!
Nessuna risposta. Il Carabiniere scelto Oberwalder era svanito nel nulla lasciando solo il berretto. Avvolto dalle ragnatele.
Stefano sembrava in trance. Dopo quasi vent’anni, stava tornando a Villa Gatto-Borghi. Il calare del mal di testa gli stava lasciando addosso uno strato di paura. Solo con il bere riusciva a tenere lontano i suoi demoni. Già sentiva la tensione gelida nel diaframma, l’inevitabile preludio delle sue visioni. Se avesse potuto avrebbe pregato un dio, uno qualsiasi, per non rivedere Armida un’altra volta. Poco dopo se la trovò accanto, sul sedile del passeggero.
-Alla fine ci stai tornando, vero?.
-Armida per favore, non è il momento. Avrai tempo un altro giorno per tormentarmi.
Era bellissima, i lunghi capelli neri che sembravano aspettare una sua carezza, proprio come faceva sempre in passato prima di fare l’amore. Come vent’anni prima, poco prima di entrare in quella maledetta villa.
-E’ per tuo figlio, vero? Ricordi che avevo la stessa età Bruno quando mi hai portato là dentro? Era solo un gioco, dicevi.
Stefano non riusciva a smettere di guardala, affascinato suo malgrado dall’apparizione. Anche se sapeva cosa avrebbe visto di lì a poco. La ragazza lo fissava con odio, la sua bellezza cancellata. La pelle ricadeva sul viso svuotato dalla carne, l’orbita destra vuota e gelida come l’inferno. Indifferente alla sua reazione disgustata lo spettro si stava mangiando le pellicine vicine alle unghie.
-Armida, mi dispiace. “Era” solo un gioco. Non potevo sapere quello che c’era dentro la Villa..
-Non potevi sapere? Eravamo in otto quando ci hai voluti portare in quella Villa.”Per cercare i fantasmi”, dicevi. “Solo un gioco” dicevi. E guarda: ne siete usciti in due. Non hai cercato di salvare me, hai salvato quella tua troietta ungherese del cazzo!
Stefano era arrivato davanti al cancello della Villa, si precipitò fuori alla macchina piangendo.
-Mi dispiace! Mi dispiace!Io ci ho provato a salvarti! Non potevo sapere. Io non potevo sapere!
Armida scavò con aria languida nell’orbita vuota, ne estrasse un verme e lo inghiottì. Scese anche lei dall’auto.
.
- Noi ci rivedremo ancora. Ti aspetto là dentro.
Svanita. Lasciandolo solo con un presente che prometteva male quanto il suo passato. Era rimasta solo una folata di vento ad accoglierlo. Di fronte a lui la sagoma enorme e silenziosa di Villa Gatto- Borghi.
C’era la carogna di un cane nel parco. Poco più avanti due auto, una con i colori familiari dell’Arma.
Iin silenzio si avviò verso l’entrata.
Il cane sembrava fissarlo con odio.
Postato a nome di Angelo Benuzzi.
RispondiEliminaBuona Lettura!
Il mio Capitolo! Grazie Angelo. :)
RispondiEliminaChe bello, in più i fondamentali sono rimasti simili.
Grazie ancora Angelo sono commosso.
bellissimo!!
RispondiEliminaBello!!
RispondiEliminaGrazie a te, Nick, per aver creato un ottimo capitolo da cui partire.
RispondiEliminaE a voi per l'apprezzamento. Sotto a chi tocca!
Arrivo in ritardo, ma anche a me è piaciuta la rivisitazione di Angelo. Bravo! :)
RispondiEliminaCiao,
Gianluca