Santonastaso fissava la casa con odio, certo di essere ricambiato. Aveva tirato fuori dal furgone il Segno e si preparava a entrare nel cortile, incurante delle proteste del suo vice. Ci sono cose che un uomo deve fare, non importa a che costo, questo era sempre stato il suo credo. Le mani avevano cominciato a dolergli appena arrivato, quando la casa era solo una macchia in fondo alla strada. Dolore fantasma, lo chiamavano i medici. Il ricordo delle sue mani, sostituite da protesi miolettriche da molti anni, non cessava di tormentarlo. Un passo dopo l'altro si avvicinò all'ingresso mentre fitte di dolore sempre più forti minacciavano di annebbiargli la vista.
Una volta passata la soglia cambiò tutto. Villa Gatto-Borghi stava cambiando, trascinando con sé il terreno attorno.L'intera struttura sembrava ondeggiare, pervasa di un'energia imperiosa.
Sta crescendo.
Dalla strada lo stavano chiamando, voci lontane e irriconoscibili. A lui non importava, fissava la villa, la presa sul Segno mantenuta solo dalla contrazione delle sue dita artificiali.
Vieni anche tu. Vieni a giocare.
Voci infantili, sottili come aghi, gli graffiavano i timpani. Da dentro la casa arrivavano altri suoni, mormorii fumosi che non riusciva a capire. Sospesi tra la vita e la morte. Fece altri due passi verso la villa, gli girava la testa.
Dentro il furgone le telecamere mostravano tutt'altro. Un uomo malfermo sulle gambe che fissava con aria ebete una villa in pessime condizioni. In compenso i monitor dei sensori sembravano impazziti. Leonardi, il vice di Santonastaso, non aveva mai visto niente del genere. Piena fioritura, pensò, siamo a meno di quattro ore dal disastro. Schiacciò con decisione il tasto di attivazione del sistema di emergenza, non c'era altro modo per rimediare all'influenza di quella cosa.
L'impulso elettrico colpì Santonastaso alla base del cranio, una fitta di dolore assoluto. Capì immediatamente di doversi togliere d'impaccio prima di essere risucchiato dalla villa. Afferrò il Segno con entrambe le mani artificiali e lo piantò con forza nel cortile. Girò le spalle alla casa e si allontanò in fretta, sentiva di nuovo le voci.
Toglilo! Togli il cartello! Sembrava la voce di una bambinaia. Sto parlando con te giovanotto, togli subito quel cartello dal giardino!
No, non l'avrebbe fatto. L'Occhio guardava la casa ora.
Tornato all'esterno Santonastaso respirava a pieni polmoni, il fantasma del dolore che indugiava ancora sui suoi nervi. Non era il momento di fermarsi. Vide arrivare a sirene spiegate una macchina dei Carabinieri, seguita a pochi metri da una vettura dei Vigili Urbani. Evidentemente da dentro qualcuno aveva chiamato rinforzi, il suo gruppo era arrivato appena in tempo. Leonardi era sceso dal furgone, il resto della squadra stava organizzandosi per disporre gli sbarramenti da mettere sulle strade attorno.
Dalla Gazzella era sceso un tenentino dall'aria esagitata, seguito a breve da due appuntati armati di mitraglietta, dall'auto dei Vigili Urbani erano in arrivo altri tre uomini, uno con le mostrine da comandante. Il mal di testa di Santonastaso risalì una tacca sulla scala del dolore, questa era la parte più idiota del suo lavoro. Attese a piè fermo i nuovi venuti, preparando la sua tessera ufficiale.
«Fatevi da parte! C'è un'emergenza in corso.» L'ufficialetto era talmente di prima nomina da essere tirato a lucido anche dopo il tramonto. Si inchiodò alla vista del tesserino. AISI. Agenzia Informazioni e Sicurezza Interna, un bel minestrone di lettere per dire servizi segreti.
«Basta così tenente. Qui comando io. È chiaro anche per lei?» La domanda era per l'ufficiale dei Vigili Urbani, un panzone che pareva un poster pro alcolismo.
«Dentro la villa è in corso un'attività che riguarda la sicurezza nazionale. Nessuno di voi è titolato a interferire. Già che ci siete aiutateci a definire un perimetro di sicurezza, voglio spazio per almeno un isolato in ogni direzione.» Santonastaso era stufo di quel copione, da troppi anni lo ripeteva.
«I vostri uomini e qualsiasi civile sia all'interno di villa Gatto-Borghi è da considerare come scomparso. Fatemi una lista, la devo comunicare a Forte Braschi. Se avete contatti via telefono con loro passateli a me. Sono stato abbastanza chiaro?»
Lo era stato. Non abbastanza da non lasciare i suoi interlocutori senza domande sulla casa. Fissavano tutti il Segno. Dentro i loro cervelli, nascosto nell'ippotalamo, ne conservavano memoria.
E ne avevano paura.
Santonastaso riuscì a fumarsi una sigaretta in pace, senz'altro da fare che aspettare. I mezzi dell'Esercito con i gruppi elettrogeni e le lampade UV erano in arrivo, Leonardi stava parlando al telefono con il sindaco e i buzzurri locali davano una mano a chiudere il perimetro. Cercò di non pensare alle spore, di relegare in un angolo buio del cervello i suoi ricordi e le voci che aveva sentito poco prima. Due carabinieri, due vigili urbani, almeno due civili. Altrettante croci da aggiungere alla lista se...
Come sempre sentì la sua presenza prima di vederlo. Era comparso alle sue spalle senza rumore, richiamato dal Segno e da legami antichi. Santonastaso si girò con calma, assumendo un'espressione di circostanza nel tentativo di non lasciar trasparire il timore che provava.
Shlomo lo fissava. Era ancora più ingobbito di come lo ricordava, avvolto in una specie di saio lurido che molto tempo prima era stato nero. Rivolgeva verso di lui le orbite vuote, lo spettro di un sorriso sul volto grinzoso. Le braccia magre sembravano faticare a reggere un grosso involto, fatto della stessa tela lercia del saio.
«Shalom Marcello. È passato molto tempo dall'ultima volta.» La voce era poco più di un sussurro.
«Bentrovato Shlomo. Questa volta siamo arrivati molto tardi. Forse troppo per chi è dentro alla casa.»
Il vecchio ruotò lentamente la testa, inquadrando nel suo sguardo vuoto villa Gatto-Borghi.
«Gehenna. La vita del mondo rovesciato trova sempre un modo per arrivare a noi.»
Lentamente si avviò verso il cancello, zoppicando e trascinandosi in maniera scomposta. Pareva potesse cascare a pezzi da un momento all'altro. Santonastaso lo fissava.
Shlomo arrivò fino all'ingresso della villa. Sentiva le voci, coglieva il mormorio del fungo dalle fondamenta al tetto. Sì, c'era ancora una possibilità.
Nuovo cambio di prospettiva.Complimenti all'amico autore. Adesso siamo pronti per il mistero ancestrale, per il male che aspetta da eoni.
RispondiEliminaComincio a sentire un eco lovecraftiano, lo avverto solo io?
No nick, non solo tu...
RispondiEliminaPosso dire "aiuto" visto che tocca a me??
bello, questo capitolo mi è proprio piaciuto ;)
baci
Complimenti ad Angelo per il bel pezzo e per il cambio di registro.
RispondiEliminaE tutto in 1000 parole esatte.
Forza, Asahit... l'orrore ancestrale è come un cappello di buona fattura: và con tutto, devi solo scegliere a che angolo portarlo.
@ Ashait.
RispondiEliminaVedrai che tirerai fuori dal cilindro un gran capitolo.
E ti divertirai pure. ;)
>Angelo
RispondiEliminaBravo, complimenti.
Questo capitolo si innesta con perfetta coerenza nella storia e crea tante possibili diramazioni; buona l'idea del simbolo, l'arrivano i nostri, i riferimenti alla Gehenna, Slhomo... mi ripeto: bravo ma, eri tu quello preoccupato sul cosa scrivere?
Finora sette buonissimi capitoli [escludendo l'imbarazzante sesto capitolo... sigh], e non lo dico perchè voglio fare l'amyketto, non ho favori da dare o chiedere e non conosco [se non virtualmente] nessuno di voi...
Un consiglio per Davide: metti tutto sotto licenza altrimenti ci arrivano i Fù Ping e ci fregano la storia!
(Wu Ming si scherza, eh!)
>Ashait
Non preoccuparti, sul momento non si sà che fare ma, dopo, non si sà come smettere. ;)
Le cose sembrano farsi molto serie...! Questo capitolo mi è piaciuto, soprattutto per la virata di tono e i nuovi gustosi elementi. :) Bravo Angelo
RispondiEliminaCiao a tutti,
Gianluca
@Coriolano
RispondiEliminaBuona idea.
Fatto!
(con buonapace dei Wu Ming ;-) )
Ottimo!
RispondiEliminaRagazzi, l'horror non è nelle mie corde. Ci ho provato poche volte e con risultati francamente scarsi. Bisogna essere onesti.
RispondiEliminaQueste sono 1000 parole per sparigliare un pò le carte e dare una via d'uscita in senso 'classico'.
@Ashait: no fear. Apri il fuoco e non fermarti mai, io queste 1000 le ho scritte di getto.
Me lo sono gustato stamattina, al lavoro, prima di cominciare le danze aziendali.
RispondiEliminaAngelo ben fatto! Mi piace come pur tenendo tutto insieme hai aperto nuove direzioni!
Lo ho letto solo stasera e devo dire che è stato proprio divertente. Bel capitolo!
RispondiEliminaCi sono così tanti elementi rimescolati che viene proprio voglia di scrivere ancora...
Sono successe così tante cose che mi sembra davvero lontano il mio capitolo 5!!!Ahhh ad avere un secondo giro!!