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giovedì 30 giugno 2011

Capitolo 9 - Come Dio Comanda

1

Le porte si aprirono senza far rumore e la luce tenue del corridoio si sposò con quella fredda dell'ascensore.
Don Simone si sistemò la talare – più per abitudine che per vera necessità –, strinse il crocifisso d'argento che aveva al collo e se lo portò alle labbra, sfiorandolo con un bacio devoto. Fece un passo e si girò sulla propria sinistra.
Suor Erminei lo fissava con gli occhi spenti da un velo di lacrime, buttata su di una delle sedie verdi appoggiate al muro del corridoio, come se nessuna energia – nemmeno quella della fede – riuscisse più a sorreggerla.
«Ci sta lasciando», mormorò, ripetendo più e più volte il segno della croce e dando la netta impressione al sacerdote di non riuscire a fermarsi.
Il prete aggrottò le sopracciglia.
«Suor Ermine, contegno. Don Alberto non la vorrebbe vedere così, in preda a un isterismo da rito scaramantico. Affidiamoci e affidiamolo a Dio, come ci ha chiesto», disse brusco, imponendosi di dimenticare che la donna che aveva di fronte, prima di essere suora, era una vecchietta.
Minuscola, quasi novantenne, le rughe profonde del viso suo raccontavano ognuna una storia di missione e sacrificio, ma adesso apparivano quasi spianate del terrore della morte.
«Non deve avere paura», si sentì dirle. Come se la sua umana compassione avesse deciso di fare capolino da dentro la dura armatura in cui l'aveva racchiusa, per lavoro. E se ne sorprese, anche se nulla, né sul suo volto, né nei suoi atteggiamenti, lo lasciò trasparire­.
«Ora andiamo», aggiunse, tendendo una mano alla suora.
La donnina gliela strinse e si lasciò guidare lungo tutto il corridoio, fino a una porta di sicurezza al di sopra della quale la scritta degenza infettivi campeggiava minacciosa in caratteri maiuscoli, rossi come il sangue.
L'uomo suonò il campanello ed entrambi attesero.
Non ci volle molto perché il volto da babbo natale del dottor Enzo Bonabitacola gli comparisse davanti, con un ridicolo paio di occhiali a pinza abbarbicati alla bell'e meglio sul naso a patata.
«Simone, non ti aspettavo quasi più», disse, senza porgergli la mano, con un velato tono di rimprovero nella voce.
«Papà, ho avuto da fare, sono venuto prima che ho potuto», rispose il prete, stizzito.
«Ti offendi ancora come quando eri un ragazzino».
Questa volta, il rimbrotto era palese.
«Non mi offendo, è solo che...»
Che la ruggine tra i due era evidente. Suor Ermine fissava entrambi, stordita da quel dialogo inatteso quanto assurdo.
«Smettila di fare l'adolescente incompreso, Simone. I risultati del dottor Cipriani lasciano qualche speranza, almeno per l'anima di Don Alberto, vieni».
Credici, pensò il prete, seguendo suo padre all'interno del reparto.

Simone Bonabitacola fece del suo meglio per schivare tutte le cartelle cliniche che ingombravano l'ufficio del dottor Cipriani. Ce n'erano dovunque, sul pavimento – sparse o ordinate in pile pencolanti – sugli scaffali – sia dentro che facevano capolino da ogni cassetto, che sopra, anche qui sovrapposte a sfidare la legge di gravità – sulla scrivania e perfino sul davanzale della finestra, fuori. Non c'era alcuna traccia di simboli sacri, né cristiani né di altre religioni e questo, stranamente, mise l'uomo a proprio agio.
Gli occhi del medico, due pozze rotonde di mare pugliese, lo accolsero prima ancora del suo sorriso.
«Lei è il famoso figlio del dottor Bonabitacola, suppongo?», chiese, alzandosi dalla propria poltrona e squadrandolo da capo a piedi. Don Simone si sentì come se venisse comparato cellula per cellula a un'immagine mentale immagazzinata chissà dove tra i neuroni del dottore.
Così gli venne naturale stingere appena la mano che l'altro gli aveva porto.
«Sì, credo di essere io, per quanto non mi ritenga per nulla famoso», rispose, cercando di evitare – senza riuscirci – il sarcasmo.
«Non si direbbe. Da quando mi occupo di don Alberto, Enzo non fa altro che parlarmi di lei, del suo lav...».
«Mio padre tende sempre ad alterare la realtà in senso accrescitivo in mia assenza, quanto a sminuirla in mia presenza», gli ribatté, acido, togliendo la parola di bocca al proprio interlocutore.
Il dottor Cipriani restò per qualche secondo interdetto, poi, come se nulla fosse successo, prese a parlare.
«Le analisi che suo padre mi ha chiesto di effettuare hanno dato un esito inatteso, ma plausibile».
Simone rimase in silenzio, accomodandosi sulla sedia di fronte a quella del medico e concentrando tutta la propria attenzione sull'uomo.
«Don Alberto ha una dermatofitosi molto grave, causata da quello che in gergo è conosciuto come il Fungo di Satana«», esordì, con il compiacimento dipinto sul volto.
Medici, tutti uguali, pensò il sacerdote. Mai che ammettano che la scienza non può tutto.
«Ma questa parassitosi non è tipica dell'Africa centrale?», lo incalzò.
Gli occhi di Cipriani brillarono.
«Enzo aveva ragione, lei è molto preparato anche in campo med»
Simone lo zittì con un gesto della mani. «Don Alberto non si muove da casa da anni», concluse, inappellabile.
Il medico reagì immediatamente, come se si aspettasse l'obiezione ed avesse già pronta la risposta: «Però c'è da tener presente che le spore di questo fungo sono talmente piccole da viaggiare su altri batteri e don Alberto ha sì avuto a che fare con profughi africani ultimamente, quindi, non posso escludere che la contaminazione sia avvenuta per via indiretta», controbatté, in un sol fiato.
«Spiega tutta la sintomatologia che presenta?», domandò Simone, questa volta rassegnato. Ancora una volta combattere contro uno scienziato lo stancava più che farlo contro il demonio stesso.
«Sì, c'è l'erosione dei tendini accompagnata da spasmi muscolari involontari anche molto violenti. A volte le gambe gli si piegano con angoli talmente assurdi che, le confesso, ho pensato a una possessione demoniaca».
Davvero, pensò Don Simone, alzando solo un sopracciglio, senza cambiare altro nel proprio atteggiamento.
Cipriani riprese a parlare: «Così mi sono documentato e ho scoperto che quelli che hanno sceneggiato l'Esorcista, ha presente, il film intendo, si sono ispirati giusto a questa malattia».
L'Esorcista, siamo messi bene. Ancora una volta il prete lo pensò soltanto e non si scompose in alcun modo.
Il medico concluse: «Purtroppo la diagnosi è stata tardiva, quindi la terapia con Voriconazolo non sta facendo effetto. Quindi immagino che quello che è venuto a fare non sia più rimandabile».
Non credo che la sola estrema unzione servirà a qualcosa, pensò il prete, stringendo nella tasca della talare due cose, una boccetta di vetro e una scatoletta metallica, con la base rotonda, ma schiacciata in spessore. Olio benedetto e ostia consacrata. Le uniche armi di ogni esorcista.
«Avviamoci, allora», disse, risoluto.
«Non sarà un bello spettacolo» commentò Cipriani. Era ovvio che si riferisse all'aspetto di don Alberto.
«Non lo metto in dubbio», rispose Simone, ma non era dell'aspetto che stava parlando.
Uscendo dallo studio, sbatté contro suo padre.
«Pensi che la diagnosi sia»
«Stavi origliando?», gli sussurrò, con una punta di malizia, non permettendogli di finire la frase.
Enzo non rispose, ma si fece da parte, lasciandoli passare.


2

La stanza dove don Alberto era ricoverato era accessibile solo passando attraverso una camera di equilibrio. Don Simone aveva infilato la tuta gialla anti-contaminazione e si sentiva imprigionato, impacciato in qualsiasi movimento. Il dottor Cipriani gli aveva spiegato come farsi sentire e ascoltare sia quanto sarebbe stato detto da don Alberto che la voce stessa del medico dall'interfono dentro il casco. Gli aveva anche imposto di travasare l'olio benedetto dell'ampolla in una boccetta di policarbonato e di portare in mano la particola perché non voleva che nulla di quanto fosse portato nella stanza, eccetto gli esseri umani, potesse poi uscirne senza essere incenerito a anidride carbonica e acqua.
Il prete prese un bel respiro ed entrò nella camera di equilibrio. La porta dietro di lui si chiuse con uno scatto secco e il rumore dell'aspirazione dell'aria lo fece trasalire. Davanti, all'altezza dei suoi occhi, la luce di segnalazione mutò da rossa a verde e la spessa lastra di vetro che chiudeva la stanza di degenza scivolò da un lato, lasciandolo libero di entrare.
Dentro tutto era bianco immacolato, dalle pareti al soffitto, e ricoperto da un materiale che poteva essere di natura plastica – facile da pulire, pensò di istinto Simone.
L'interno di una astronave non gli sarebbe parso diverso, visti i tubi, i pulsanti, le lucette e i monitor che circondavano il povero anziano religioso, sdraiato in un lettino con solo un telo a coprirgli l'addome, e bloccato da più di una cinghia di contenzione.
Accanto a lui, anch'essa in una tuta gialla, suor Ermine aveva le mani giunte in preghiera.
Don Alberto era scosso da spasmi talmente forti da farlo saltare nel letto. Era emaciato, il colorito già cadaverico, con gli occhi sbarrati e lattiginosi. Non dimostrava i sessantacinque anni scritti sui documenti, ma duecento.
Il suo corpo era tutto ricoperto da un reticolo nerastro rilevato che pulsava come se qualcosa lo percorresse dall'interno. In alcuni punti queste lesioni erano aperte e lasciavano uscire dei grossi filamenti grigi che si muovevano.
L'uomo tentava di sollevare le braccia e si divincolava nelle cinghie, in preda al delirio. Pronunciava parole sconnesse, qualcuna in italiano, altre in francese o spagnolo o latino, altre ancora in lingue che Don Simone non riusciva a riconoscere.
Gli si avvicinò, appoggiandogli l'ostia sulle labbra.
Il vecchio prete aprì la bocca. Era piena di ife che si contorcevano come se volessero uscire tutte insieme dal suo corpo. Espirò con violenza contro Simone, sputandogli addosso una massa di saliva annerita dalle spore.
«No! Non mi avrai!», disse lento, scandendo lettera per lettera con un timbro gutturale, animalesco. Poi richiuse la bocca in uno scatto.
«Il fungo ha intaccato il tessuto nervoso».
La voce del dottor Cipriani attraverso l'interfono nel casco lo spaventò e per poco non perse la presa sulla particola. Dentro la tuta stava grondando di sudore.
«Per questo è paranoico e vede cose che non ci sono», concluse il medico.
Simone ignorò quanto sentito e riprovò ad appoggiare la particola alle labbra dell'anziano sacerdote, ma questi, digrignando i denti, rifiutò di aprire la bocca.
Il giovane prete sbuffò. Non voleva, ma doveva. Era il suo lavoro a imporglielo.
Con una mano afferrò il volto malato per le guance, cercando di aprirgli la labbra a forza, ma venne investito una secondo fiotto di saliva, questa volta proprio sul visore della maschera.
Con la coda dell'occhio, guardando dove ancora la plastica non era sporca, si accorse che suor Ermine aveva iniziato a dondolare sulla sedia. Non la sentiva parlare, ma poteva intuire che la paura stesse scuotendo la donna nel profondo.
Non si perse d'animo.
«Non vuoi la comunione con Cristo?», domandò a don Alberto. Gli occhi dell'uomo ruotarono all'indietro, lasciando vedere solo il bianco della sclera, ma non gli rispose.
Lasciò il viso del vecchio e si pulì la maschera. Sbuffò forte a cacciar via la paura che cominciava a prendergli la bocca dello stomaco. Appoggiò l'ostia sul comodino accanto al letto e aprì il piccolo flacone in plastica, versandosi parte del contenuto su due dita, pulite.
«Per questa Santa Unzione, e la sua piissima misericordia, ti aiuti il Signore con la grazia dello Spirito Santo. Amen».
Recitando la prima parte della formula, toccò la fronte di don Alberto. Come se fosse stata colpita da un acido, la pelle dell'uomo a contatto con l'olio si sciolse immediatamente, rivelando il cranio sottostante. Molte ife uscirono dai lembi smangiati della ferita, protese verso la mano di Simone, che la ritrasse appena in tempo.
«E, liberandoti dai peccati, ti salvi e nella sua bontà ti sollevi. Amen», concluse, ungendogli entrambe le mani con altre gocce.
Per un attimo che gli parve eterno tutto rimase immobile.
Non riusciva a respirare, ogni suo muscolo era paralizzato, gli occhi fissi in quelli di don Alberto, che non si muoveva più.
«Bene, quello che doveva fare l'ha fatto. Esca di lì».
La voce di Cipriani non ammetteva repliche.
«Suor Ermine, anche lei». La donna non se lo fece ripetere due volte, e sparì dalla vista del prete. Il sibilo della lastra di vetro che si spostava gli confermò che era uscita.
Possibile che sia così semplice?, si domandò Simone, sconcertato. Nessuna reazione. Il vecchio era immobile, assurdamente calmo, con un sorriso sereno che gli si stava disegnando sulle labbra.
Aveva vinto? Solo grazie alla formula dell'estrema Unzione? Si era preparato per tutta la vita a uno scontro epico e si era risolto solo con due gocce di olio Santo?
Il peso della tuta anti-contaminazione lo schiacciò a terra. Sedendosi, si prese il casco tra le mani.
Possibile che la storia della Gatto-Borghi fosse solo una fandonia? Possibile che avesse ragione suo padre e non don Alberto? Possibile che avesse buttato al vento la vita, preparandosi a combattere un demonio che non c'è mai stato? Possibile...
Tutte queste domande gli premevano allo stesso tempo in testa.
Aveva dato retta alle visioni di un pazzo, come aveva sempre sostenuto suo padre – la razionalità fatta persona, lo psichiatra che la Curia aveva incaricato di seguire don Alberto dopo i fatti di vent'anni prima?
No, non era possibile. Simone era certo di aver ricevuto la chiamata, era sicuro che i racconti del vecchio prete fossero verità, che la squadra incaricata di controllare la potenza demoniaca che risiedeva nella villa esistesse davvero e che don Alberto insieme ad altri – anche sacerdoti di altri culti – ne facesse parte.
Lo sapeva.
Perché non conosceva nessuna di quelle persone, ma ogni volta che era passato davanti alla Gatto-Borghi l'aveva sentito. Il suo strisciare lento, il rumore dell'acqua, le risate dei bambini, le corse del cane, le urla della tata. E le aveva viste, nei suoi sogni, migliaia di mani mozzate tese verso di lui a chiedere aiuto.
Don Alberto lo aveva scelto come suo successore in questa lotta. Prima di scoprire che il male lo aveva contaminato. Prima di perdere il senno. Prima di... Adesso la Gatto-Borghi stava risorgendo, perché uno dei suoi guardiani stava morendo, proprio a causa di ciò che la infestava. Il male non poteva propagasi al di fuori della villa. No.
Con le lacrime che gli rigavano le guance, Simone iniziò a levarsi il casco.
«Ma cosa sta facendo!», ruggì Cipriani all'interfono, talmente forte che Simone lo sentì lo stesso.
«Simone, ti prego! Non farlo!», gli gridò anche suo padre.
Si alzò, si levò il resto della tuta, si tolse il crocifisso dal collo, lo bagnò con l'olio Santo rimasto e lo strinse in una mano, prese la particola nell'altra e, avvicinando le proprie labbra al volto di Don Alberto, parlò:
«Lo so che sei lì. So che stai facendo finta per far sì che nessuno ti disturbi. Tu vuoi propagarti e io ti faccio paura. Così stai cercando di screditarmi, vero? Ti sei spacciato per il Fungo di Satana solo per questi creduloni di scienziati»
Il sorriso sul viso di Don Alberto divenne un ghigno muto.
Ecco, adesso ne era certo. Simone prese fiato e tuonò:
«Ti ordino, Satana o qualsiasi demone tu sia, nemico della salvezza dell'uomo: riconosci la giustizia e la bontà di Dio che con giusto giudizio ha condannato la tua superbia e la tua invidia. Esci da Alberto, servo di Dio, che il Signore ha creato a sua immagine, ha arricchito dei suoi doni, ha adottato come figlio della sua misericordia», e mentre recitava la formula dell'esorcismo, appoggiò la particola sulle labbra dell'anziano sacerdote.
Un urlo scosse l'aria ferma della stanza.
Don Alberto si animò, rompendo tutte le cinghie che lo bloccavano, e con mani e gambe si strinse contro il corpo di Simone.
«Che non entri nessuno!», gridò l'uomo, accorgendosi ancora una volta del sibilo della porta di vetro. Poi riprese:
«Ti ordino, Satana o qualsiasi demone tu sia, principe di questo mondo: riconosci il potere invincibile di Gesù Cristo. Egli ti ha sconfitto nel deserto, ha trionfato su di te nell'orto degli ulivi, ti ha disarmato sulla croce e, risorgendo dal sepolcro, ha portato i tuoi trofei nel regno della luce. Vattene da questa creatura, da Alberto: che il Salvatore, nascendo tra noi, ha reso suo fratello e morendo in croce ha redento con il suo sangue».
«Non puoi, non puoi sconfiggermi», disse la voce animalesca che proveniva dalla fauci spalancate di Don Alberto, mentre un fiume in piena di ife fluiva al di fuori di essa e avvolgeva entrambi i sacerdoti.
«Io non pretendo di sconfiggerti in toto, ma solo di liberare Alberto dal quel poco di te che lo possiede!», urlò Simone, riuscendo a conficcare il proprio crocefisso nella bocca del prete, mentre premeva l'ostia contro il cranio con tutta la forza che aveva in corpo.
Il corpo del vecchio sacerdote prese fuoco all'improvviso.
Il dolore era impossibile da sopportare ma Simone non si arrese. Continuò a spingere il crocefisso nelle carni dell'altro uomo, in profondità, scavandone il collo, poi il torace, fino al cuore, con una forza che solo la fede gli conferiva, rompendo ossa che in altro modo non avrebbero mai ceduto. Poi, con un grido, spezzò il simbolo del suo credo dentro il cuore del sacerdote.
Il fuoco si spense. Di don Alberto restava solo un mucchio informe di cenere. Di Simone un corpo straziato dalle fiamme che ancora rifiutava di arrendersi alla morte.
Sentì che qualcuno lo stava sollevando.
«Simone, no», il pianto di suo padre non gli era di conforto. Aveva ancora una cosa da fare e gli restava poco tempo e solo la forza della sua fede.
«Distruggete tutto benedicendo con l'acqua santa», mormorò, con un filo di voce, spezzata dal dolore. «E portami là», ordinò.
Enzo Bonabitacola, suo malgrado, sapeva dove fosse quel là di cui suo figlio stava parlando.
«Ti prego», aggiunse Simone.
«Qui è sconfitto?», gli chiese, spazzando via con quelle tre parole anni di guerra tra la razionalità scientifica e il credo religioso, a favore di quest'ultimo.
«Sì, ma io devo andare là».
Enzo sollevò quel corpo martoriato come fosse una piuma e si avviò senza che nessuno riuscisse – volesse – fermarlo.

13 commenti:

  1. Postato a nome di Asahit che è offline fino a domani.
    Buona lettura.

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  2. Che bello questo cambio di prospettiva!
    Ci voleva proprio un elemento squisitamente religioso.
    le cose stanno prendendo proprio una piega interessante!
    grazie per questo capitolo 9, mi sono proprio divertita a leggerlo e non riesco proprio a immaginare cosa succederà ora.

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  3. Seven hells, qui si stanno usando calibri GROSSI. Bene così, complimenti ad Asahit.

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  4. Sento echi dell' Esorcista. Mi sa che a qualcuno piace William Peter Blatty.
    O sbaglio?

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  5. @nick: ti dico la verità. Non so nemmeno chi sia... e non ridere, che è vero. Il riferimento all'Esorcista - il film - l'ho trovato nel sito che ho saccheggiato per le informazioni sul fungo di satana, qui: http://checkyourfacts.wordpress.com/2011/03/10/zagworm-the-demon-fungus/
    Comunque mi sono divertita a scriverlo ;)

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  6. Eh, non conoscere Peter Blatty non è bello :-)

    Anche perché è comunque un autore molto letterario, che nel bene e nel male ha nobilitato il genere.
    L'Esorcista è il titolo di riferimento, ma anche La Nona Configurazione non scherza (ed è il mio preferito del suo catalogo).

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  7. @davide: registrato e messo nelle lista delle cose da leggere quest'estate ;)

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  8. Ti giungano anche i miei complimenti.
    Noto che ho avuto ragione, se è stato difficile iniziare, ancor più difficile è stato smettere... ;)

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  9. @coriolano: hai ragione. penso di aver mancato il limite delle 3000 parole per dieci o quindici al massimo... :P

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  10. Consigli per gli acquisti per chi fosse interessato a Blatty:
    -LIBRI.
    L'ESORCISTA (ovviamente).
    GEMINI KILLER ( Che non è un vero e proprio seguito dell' Esorcista, ma ne riprende i personaggi principali e dà un destino compiuto alle vicende di Padre Merrin).
    E come film:
    L'ESORCISTA di Friedkin (Uno dei Kult dei Seventies).
    LA NONA CONFIGURAZIONE.
    Buone letture e visioni.

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  11. Libri recuperati da amici iperforniti, per i film mi sto organizzando ;)

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