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sabato 30 luglio 2011

Capitolo 16 - Le palle di Mozart

La prima volta successe quando aveva quattro anni. Era a spasso nei boschi attorno ai pendii dell’Untersberg con suo padre e il cinghiale neppure lo vide comparire. Approfittando di una sosta si era seduto a riposare all’ombra di una quercia e quella belva sbucò, all’improvviso dai cespugli, con indosso la furia dei secoli. 
Era sopravvissuto perché la bestia, anziché lacerargli la carne con le zanne, aveva iniziato stranamente a morderlo.
Prima che suo padre potesse intervenire, però, aveva perso il naso e metà dell’orecchio destro e un profondo squarcio grondante sangue gli deformava uno zigomo.
Un dramma che costrinse il bambino a frequentare ospedali di varie città austriache e tedesche in cerca di un’operazione di plastica facciale che gli restituisse una fisonomia simile a quella degli altri suoi coetanei.
Una tragedia, tuttavia, che servì a fargli percepire una sua dote particolare.

Nella polvere l’uovo che non era uovo riposava e sognava. I suoi pensieri nuotavano in un profondo e lugubre mare nero. L’acqua espandeva a dismisura la sua essenza in un mondo appartenente a una dimensione metafisica dove non c’era spazio per le emozioni e per i sentimenti. Tutto era sostanza, cibo e anche il succo della coscienza degli esseri che intralciavano questa dimensione onirica serviva come fonte di nutrimento.

La seconda volta invece accadde una ventina di anni dopo, quando incontrò uno squalo nel mare di Sharm El Sheik, in Egitto. Lo squalo, un pinna bianca del reef, lo aggredì afferrandolo per un testicolo mentre, al tramonto, cercava spugne marine tra i fondali. Riuscì a salvarsi, anche in questo caso, aprendo a forza di braccia le fauci serrate di quel piccolo diavolo che strattonava le sue intimità neanche fossero piccole mele immature sopra un albero.
Un altro anno di cure e di ospedali, e una certezza: quella sua dote particolare non funzionava nell’acqua.

Nel sogno l’uovo che non era un uovo, vagando nelle profondità marine, divorava tutto ciò che incontrava: banchi di pesce e strane creature degli abissi. Vagò per periodi eterni e immoti senza meta e destinazione. Alla fine si spinse nelle fredde acque artiche e divorò un cetaceo enorme, usufruendo dell’alito vitale di quel mammifero gigantesco per spostarsi a velocità impensabili in quella densità senza aria. Divenne fuoco nell’acqua e folgore nel buio. Tempesta nella calma e terrore nel piacere.
Inferno nel paradiso.

Adesso di anni ne aveva trentadue ed era considerato un uomo anormale: epilettico, storpio quando il tempo era umido e completamente sordo da un orecchio. Si manteneva con i soldi della ricca eredità e ad accudirlo ci pensava sua nonna Anastasia. 
Era un uomo apparentemente inutile ma con un potere proprio lì. Lì in quel timpano distrutto dalla forza bruta della natura. Un potere anomalo sviluppato dal suo cervello nel dolore. Un dono che percepiva il male, nelle persone, negli animali, nelle cose… nelle case.
Hans sorrise pensando a queste sua particolarità, poi guardò sullo schermo del computer l’immagine di quella strana Villa mezza distrutta che stava facendo il giro del mondo. E capì cosa c’era scritto nel suo destino.
Allora sorrise di nuovo, quasi con sarcasmo e si alzò lasciando acceso il computer alle sue spalle. Si diresse zoppicando alla finestra e guardò dapprima lo scorrere calmo del Salzach oltre il viale, poi alzò lo sguardo verso i boschi e la Fortezza lassù in alto.
Ci voleva un uomo come lui per affrontare un mostro come quella Casa. Qualcuno che non avesse timori e paure inconsce e fosse in grado di comunicare con il male senza lasciarsi sopraffare da ansie e terrori onirici. Lucidità nel distinguere le sottili differenze presenti nell’essenza delle cose anche a distanze chilometriche.
Lo sapeva lui.

Lo sapeva l’uovo che non era un uovo.
Ora, immobile nella sua attesa e incapace di capire chi fosse veramente.
Sepolto nelle macerie aveva smesso di sognare e sentiva una presenza lontana, malefica e inopportuna e terribilmente negativa. Un nuovo nemico all’orizzonte in possesso della stessa forza distruttrice che nutriva la sua esistenza. Un male inestirpabile in netto contrasto con le sue pulsioni e con la sua necessità di crescere e succhiare vita affinché potesse esistere.
Una forza diversa dagli essere scimmieschi che avevano sbadatamente tormentato la sua progenie, picchiando, martellando, correndo e nascondendosi negli anfratti e nei corridoi della Villa come padroni del tempo.

“Nonna?” chiamò Hans.
La vecchia si presentò sull’uscio della porta pochi minuti dopo.
“Dimmi caro, cosa ti serve?”
“Dovrò partire qualche giorno!”
“Non devi andare!”
Hans scosse il capo. “Cosa ti preoccupa?”
“Conosco quella Casa!”
“Hai sempre vissuto a Salisburgo?”
“Non è questo il punto! I tuoi poteri non t’aiuteranno. Quella Casa ti aspetta.”
“Come lo sai?”
“Lo sento, come la senti tu e sono convinto che anche la Casa ci stia sentendo. Ha paura, ma avrà il tempo di prepararsi.”
Hans alzò le spalle. “Non sa come voglio affrontarla!”
“Imparerà” disse la vecchia. “Stai attento. Lei non sa cosa sia il male. Non conosce nulla dell’astio che la nutre. Non considerarla cattiva. Sei impreparato alla forza della sua natura.”

L’uovo che non era uovo tremò. I rumori all’esterno della villa andavano affievolendosi. Suppose, nel suo modo strano e bizzarro di pensare, che presto qualcuno sarebbe tornato alla carica, ma questo dettaglio non gli incuteva nessun timore specifico e immediato. Sapeva come difendersi e lo aveva dimostrato.
La sua paura proveniva da molto lontano. Sentiva e vedeva aldilà dell’udito e della vista. Il suo terrore era oltre le alpi.
Ora al riparo nel suo guscio protettivo vide, con lo sguardo formato dalla carne di cui si era nutrito, un uomo e quest’uomo saliva zoppicante e lento attraverso un'erta strada di montagna immersa nei boschi. Nei suoi pensieri vide il volto dell’uomo sfigurato. Notò la bava bianca sulle sue labbra e poi quella strana bestia simile a un camoscio, anch’esso bianco che si parò davanti. Vide l’uomo sussultare di spavento e intuì quel terrore di fronte all'ungulato.

Hans rinvenne dopo pochi minuti. Sua nonna gli teneva i piedi sollevati da terra. La crisi, improvvisa, come spesso succedeva, non si era protratta a lungo. Nulla di grave e di diverso dal solito. 
Il ragazzo respirò piano e deglutì. Aveva la bocca secca e un piccolo vuoto nella mente. Ricordò però di aver visto un camoscio bianco. Lo confessò alla nonna.
“Allora quest’anno morirai” costatò Anastasia.
“Lo so” disse Hans, poi concentrò lo sguardo verso una scatola di cioccolatini sistemati sulla vetrina nella sala. La scatola, dopo essere uscita dalla vetrina, si aprì senza che nessuno la toccasse e alcuni cioccolatini contenuti in involucri di carta colorata volarono nella stanza. Librandosi nell’aria si liberarono della carta che li ricopriva e come per magia finirono, uno a uno, nella bocca di Hans che aspettava aperta.
Anastasia sogghignò sarcastica. “Farai la stessa fine” disse.
“Lo so” disse Hans. “Sarà la terza volta”. Inghiottì l’ennesimo cioccolatino. “Il mio destino è scritto, morirò mangiato vivo.”

L’uovo che non era uovo, in un altro luogo, lontano, sotto un cumulo di macerie vive, rise.

8 commenti:

  1. Inaspettato e molto promettente!
    Dieci punti extra per il titolo molto pulp ;-)

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  2. Un titolo con le palle, non c'è che dire...;-)

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  3. Uffa, perché i miei commenti spariscono???
    Comunque ribadisco i miei complimenti.
    Baciottoli, Paola

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  4. Ach, du lieber Himmel! Misticismo e predestinazione, condito da mozartkugeln. dopotutto, l'opzione nucleare sulla casa potrebbe non essere male.

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  5. Credo che si sia sforato.
    Ok è Agosto e si capisce e comprende, però lo stesso invito subito il 17esimo [che sarebbe stato il 18esimo] a regolarizzare la sua posizione, in caso contrario sarà condannato a passare la notte a villa Gatto-Borghi... ;)

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  6. Sei un grande!!!
    Io al tuo posto se avrei le tue doti narratorie pubblicherei un e-book nell'apple store e mi farei in men che non si dica un bel gruzzoletto!! ;-)

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