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domenica 5 giugno 2011

Capitolo 3 - Mani

Era un cane che non aveva mai visto da vicino. Doveva trattarsi di una specie di levriero, ma la carne putrefatta lo rendeva sgraziato. Un mantello bianco latte annerito dai vermi e dal sangue attorno alle fauci dilatate come spezzate da due mani possenti.
Si era ripromesso di non tornarci mai, dopo quanto era accaduto quel giorno.
Otto ragazzi fatti di marjuana e alcol pronti ad una delle tante bravate da raccontare.
Sei scomparsi. Due sopravvissuti sotto shock, Stefano ed Eva . Questo almeno riportava il rapporto della Polizia.
Scomparsi.
E nel seminterrato fatiscente e allagato da una perdita d’acqua, mani, mani ovunque. Mozzate, ammassate, marcite, imbalsamate, putrefatte, martoriate. Quelle dentro l’acqua, gonfie, annerite, spalancate nel nulla ad implorare nel silenzio un aiuto che non sarebbe mai arrivato. Ma questo dal rapporto non emerse mai.
Il caso venne insabbiato, la casa sigillata alla svelta, le mani rimosse ed archiviate.
L’unica cosa certa era che non si sapeva a chi appartenessero. E su ognuna, una muffa dalla natura tossica sconosciuta a più di un laboratorio di analisi.
E non era colpa dei libri ormai rovinati, le cui pagine fluttuavano sul pelo dell’acqua torbida lasciando intravedere quel che restava dell’inchiostro stampato.

Oberwalder era svanito nel nulla, e tra Rambo e la rossa sveglia Santini doveva anche preoccuparsi di un visitatore importuno.
- Lei chi è scusi?
- Stefano Morganti. Mio figlio e altri due ragazzi sono venuti qui, ma non sono mai tornati a casa. Sono venuto a cercarli.
Gaetano intervenne con un balzo in avanti: “Non sono ammessi civili sul luogo dell’indagine”
- Lei! Tenga a bada il suo collega – disse Santini a Rosa la rossa.
- Morganti… il suo nome…mi ricorda…ma…non sarà mica il Morganti che…?
- Si sono io. La prego, mi aiuti a trovare mio figlio.
Gaetano sembrò farsi serio. Rosa era sparita in un lampo. Al suo posto, una delle sue mani con ancora il block notes stretto tra le dita insanguinate.
-Ma che cazzo succede qui? – urlò indietreggiando e puntando la scacciacani verso l’orrida prova.
La casa sembrava emettere un suono sordo, proveniente dalle tubature, dai muri e dal seminterrato.
Stefano aveva il volto stralunato, come se non dormisse un sonno decente da secoli. Armida era uscita da un angolo del sottoscala e con l’unica mano rimasta lo invitava ad avanzare con uno sguardo severo. Era la sua mente a vederla? O anche lei ormai faceva parte dell’intero disegno? Lo odiava adesso, adesso che lontana dalla vita aveva perduto ogni soffio d’anima.
Ma allora, quella notte di tanti anni prima, aveva lottato perché lui si salvasse. Nonostante credesse di aver scoperto che lui fosse il padre del bambino di Eva, visibilmente incinta.
- Morganti! – urlò Santini – E’ con noi o no? Scendiamo in questo scantinato, cerchiamoli!
All’improvviso, un sinistro ululato li fece rabbrividire.
Stefano guardò fuori, tra le fessure delle tavole alla finestra. La carcassa del cane non c’era più, e nel voltarsi scorse con la coda dell’occhio un’ombra bianca a quattro zampe aggirarsi nella stanza accanto.
La videro tutti e tre.
Cominciarono allora a camminare lentamente verso quella che doveva essere la cucina, mentre il fetore diventava insopportabile.
Gaetano trovò un vecchio telefono, ma era completamente muto.
-Questo non funziona. Dobbiamo chiamare i rinforzi!
Santini sentì un brivido lungo la schiena. Non disse nulla della telefonata che il Comando aveva ricevuto qualche momento prima. Richiamò il Comando con il cellulare, chiedendo l’intervento di altri colleghi per una situazione “difficile”, spiegando della temporanea scomparsa di due persone e della probabile presenza di tre adolescenti in vena di scherzi.
Come fosse possibile una telefonata da una casa senza una linea telefonica non sapeva spiegarselo.
Ma di quella villa aveva letto qualcosa in passato, perciò ricordava il nome di Morganti. Solo che queste cazzate alla X-Files venivano classificate nella sua mente alla voce “scherzi ben riusciti di geniali figli di papà”.

Eva prese a tremare. Non apriva quella busta da due decenni.
Quei volti avrebbe voluto tanto rivederli, ma non come in quelle foto. Perché aveva ripreso quella scatola? Dopotutto, Bruno poteva tornare sano e salvo e quello che era successo allora restare sepolto nel silenzio di quella maledetta casa.
E se avessero solo sognato?
Aprì con violenza la busta e le foto caddero spargendosi sul parquet mogano.
Un autoscatto fu la prima foto che rivide. Otto volti in otto pose sbilenche, a prendere per il culo il passante ingaggiato per immortalare il momento. Una Polaroid nuova e tecnologica, di quella che stampava le foto immediatamente in un formato quadrato.
Accarezzò col pollice la smorfia di Claudio, poi si prese la testa tra le mani. – Perdonami…
-E’ stata colpa tua, Eva.
-Claudio! – singhiozzò raggelata la donna indietreggiando.
Lui si ergeva in alto, pareva uscito da un angolo della stanza, la testa reclinata in avanti, per via del soffitto che gli toccava il collo. Eva non riusciva a staccare gli occhi da lui, ma nel contempo sgomitava all’indietro arrampicandosi sul divano.
-Le tue mani…le tue mani…non…
-Tu sai dove sono le mie mani Eva… lo SAI NO? NO? Vero che lo sai Eva? Come sai chi è il padre di
Bruno, no?
La figura si dissolse.
Adesso ne era certa. Bruno era in pericolo.

Il telefono continuava a squillargli nei pantaloni.
- Risponda Morganti! Non vorrà mica che tutti sappiano che siamo qui?
- Si Eva, dimmi.
- Claudio è stato qui – singhiozzava ancora – non l’ho sognato, non l’ho sognato, era qui era qui era qui!
- Lo so. Adesso calmati. Troveremo Bruno – chiuse il telefono con rabbia - Mi scusi, non so neanche come si chiama.
- Santini. E questo è Gaetano l’impavido esploratore, no?
- Esatto signore. Ma aveva perso il sorriso ebete, temendo per Rosa.
- Procediamo lentamente ed uniti -ordinò Santini – potrebbe esserci qualcuno qui oltre ai ragazzi.
Entrarono in cucina, mentre Gaetano illuminava con la sua torcia d’ordinanza.
La casa ricominciò a gemere.
Sembrava uno stridere sordo misto a travi spezzate e sibili disumani.
Ciò nonostante il trio non si fermò, ma un senso di irrequietezza li pervase.
La cucina sembrava un campo di battaglia. Muffa, muffa ovunque, sulle pentole incrostate, sui piatti in pezzi, sui muri, dentro ai due lavandini di ceramica.
Dal rubinetto gocciolava ancora qualcosa di verdastro, e scarafaggi morti ed una cornacchia ammuffita tappezzavano le mattonelle sporche di sangue che sembrava fresco.
I vetri infranti delle finestre completavano il dipinto sul pavimento, coprendo qualche topo e una parte del tavolo di legno gonfio di umidità.
Stefano guardò in basso per un secondo, ma quello che vide riflesso nel pezzo di vetro non era solo la sua figura.
Erano ossa lucenti di uno spirito inquieto, e due occhi che conosceva bene, privi di luce.
La stanza divenne di colpo gelida. Armida stringeva il collo di un gatto, fetide spoglie feline che si scomponevano lentamente lasciando cadere pezzi di carne fradicia.
-Sig. Morganti, venga! – ordinò Santini scorgendo il suo sguardo perduto – i ragazzi potrebbero essere di sotto.


Rosa rinvenne, risvegliata da un odore acre e da un senso di umidità sotto la spalla.
Doveva essere caduta in una pozza d’acqua. Appena tentò di muoversi per rialzarsi scivolò malamente e la fitta alla mano sinistra fu ingestibile. Svenne.
Si riprese qualche minuto dopo, impazzita dal dolore. Il polso bruciava e formicolava intorpidito come se ci fosse caduta sopra. Era buio, ma si ricordò di avere il cellulare e lo prese con la mano destra tentando di illuminare le tenebre.
Solo che la sua mano sinistra non c’era.
E quella non era acqua. Era sangue. Il suo sangue.


Santini era un uomo pratico. Nella sua mente quelle stramberie erano roba da telefilm di quart’ordine. Non gli importava di darsi una spiegazione, non era compito suo. A quello avrebbero pensato i cervelloni della scientifica. Quello che doveva fare era trovare i ragazzi, Oberwalder e Rosa la rossa.
Arrivati alla porta del seminterrato udirono un suono provenire dal piano superiore. La scalinata sembrò mutare colore e muoversi leggermente, come se le tavole di legno fossero calpestate da una presenza invisibile.
Trascurò il dettaglio. -Andiamo di sopra. Forse sono lì e aspettano solo di venir fuori per farci prendere un colpo. Benedetti ragazzi!
Stefano sentiva che quella era una pessima idea. Ma perdere Bruno allo stesso modo di…no, non poteva pensarlo. Non dopo quello che aveva visto finora.
Man mano che procedevano nel lunghissimo corridoio a sinistra, calpestando il tappeto scuro ormai lacerato in più punti, la torcia di Gaetano perdeva la carica delle pile.
-Merda – esclamò – devo tornare in macchina a prendere il ricambio pile, signore.
-Lei non si muove di qui, Gaetano – disse Santini.
-Signorsì signore, come vuole lei signore.
La puzza li avvolgeva, penetrando le narici fino a provocare in tutti e tre un senso forte di nausea.
Stefano inciampò in qualcosa di croccante, ma non era il tappeto.
Si abbassarono con la flebile luce della torcia e videro un cadavere vecchio di almeno 20 anni, mezzo rinsecchito, che si era leggermente sgretolato nel punto in cui Stefano l’aveva colpito.
Niente mano sinistra.
Il volto contratto, sfigurato da un’espressione di terrore, coperto da pochi brandelli rancidi di pelle.
Riconobbe la maglietta. Gliel’aveva regalata lui, proprio quel giorno, prima dell’avventura andata a male.
Era una maglietta tutta nera, con una sbeffeggiante scritta rosa che diceva “Barbie is a slut”. Gliel’aveva comprata qualche giorno prima al Camden Market, durante il loro weekend a Londra, per rassicurarla di non averla mai tradita, soprattutto con Eva, la ragazza del suo migliore amico Claudio. Lei aveva riso della maglietta, e l’aveva indossata subito fingendo di credergli.
Era bellissima vestita di nero, con i suoi capelli corvini, ma lucenti.
Ed ora quel che restava di Armida giaceva lì, la mano destra piena di minacciosi anelli d’argento a forma di ragni e serpenti, gli anfibi ancora ben legati ai piedi, coperti di polvere e pezzi di intonaco.
Un pendolo risuonò nel quasi buio facendoli sussultare.
Sembrava tutto uno stupido cliché di un b-movie. Ma era reale, quanto il tanfo e le ossa davanti ai loro occhi, tranne l’orologio che risuonava ancora nel silenzio beffandosi di loro con un pendolo spezzato e senza più tempo da regolare.

30 commenti:

  1. Non ho parole! Ben fatto. Il particolare delle mani è agghiacciante (nel senso buono). I personaggi di Stefano ed Armida sono veramente ben resi, quindi un sentito grazie da parte mia.
    Rosa è uno dei miei personaggi preferiti, quindi mi fa piacere saperla ferita ma ancora viva.
    Ciao Lady. Ottimo lavoro.
    P.s
    Mi credi che nella storia che mi ero immaginato c'era la trasferta londinese di Stefano?

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  2. Ferocissimo.
    La faccenda prende una piega violenta - e siamo appena al terzo capitolo.

    La povera Rosa non potrà mai più suonare il piano - ma riuscirà Gaetano a salvare la collega in pericolo?

    Ora attendiamo la versione di Barney...

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  3. Bellissima l'idea delle mani!Va misteriosamente d'accordo(telepatia?) con un'idea che avevo avuto anche io e che svilupperò se ne avrò la possibilità.
    Qui le cose cambiano di capitolo in capitolo perciò non so se alla fine mi toccherà ripensare tutto. Sto davvero con il fiato sospeso!

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  4. Oh-oh! Abbiamo cambiato marcia a quanto vedo. Tre puntate e una piega splatter / allucinatoria notevole, sto cominciando a temere il momento in cui dovrò scrivere la mia parte. Un ‘brava’ a Lady Simmons.

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  5. @lady: non ho capito una cosa.
    Come è possibile che Stefano inciampi in quel che resta del cadavere di Armida, visto che la scientifica ha trovato le mani quando erano scomparsi gli amici di Stefano e Eva? Hanno setacciato solo il seminterrato? Non l'hanno trovato, non l'hanno cercato o sono io che mi sono persa un passaggio, ovvero che il cadavere si è manifestato adesso?
    Non voglio risultare la Grissom dei poveri, ma non ho proprio capito.

    @Davide: non si fa la guerra alle d eufoniche in questa scrittura di massa? da dove provengo io, anche se te ne dimentichi una in fase di prima pubblicazione, c'è chi ti attacca alla gogna... e credo che Ferruccio capisca di cosa sto parlando :P

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  6. Asahit, grazie!
    Sono davvero felice che tu ti sia offerta di fare l'editing e la revisione della storia una volta finita.
    Io non ce l'avrei mai fatta, e non me la sentivo di chiedere a qualcuno di farlo.
    Potrai certamente cominciare con le d eufoniche, e poi pasare a tutto il resto :-P

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  7. PS: passando poi ai miei errori di battitura, magari ;-)

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  8. Questo commento è stato eliminato dall'autore.

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  9. Complimenti per i primi tre capitoli, anzi complimenti a tutti e 23 perchè già da ora prevedo che farete tutti un buon lavoro.
    Per quanto mi riguarda non sò propio a quale santo appellarmi per non sfigurare in modo vergognoso... com'era quella faccenda sul giudizio dei 12 incappucciati?

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  10. @Ashait

    E' cosa nota che nelle case infestate da presenze non identificate le oggetti, persone rumori tendono a non manifestarsi davanti alla Polizia...
    Certo c'era stata un'indagine e tutta la casa era stata setacciata.
    I corpi mai trovati.
    Ma adesso qualcosa nella casa riporta indietro i corpi e ne fa sparire altri sotto il naso dei colleghi.
    Il bello delle case infestate è che non ci sono regole di sparizione, ma chérie.

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  11. @lady: grazie, grazie, grazie. Mi era venuto un botto di confusione. hai aperto uno spiraglio nella nebbia che mi ottenebra il cervello :)

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  12. Perchè, semmai non si fosse capito, questa cosa a me fa un poco paura... anche se c'è chi con molta gentilezza (grazie ancora Nick) mi ha fatto notare che prima di tutto è un gioco.

    @davide: scusa per il mio fare da prima della classe :P

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  13. Non è il caso di chiedere scusa - considerando il lavoro improbo che ti toccherà nell'editare le circa 25.000 parole di Sick Building Syndrome, mi fa anzi piacere notare un atteggiamento tanto agguerito ed un occhio così acuto... :-D

    Scherzi a parte - si tratta di 1000 parole scritte in settantadue ore cercando di portare avanti il lavoro fatto da altri.
    Le d eufoniche possono anche andare all'inferno.
    È già un miracolo se scriviamo tutti nella stessa lingua
    (in effetti, nell'ultimo round robin al quale ho partecipato NON condividevamno tutti la stessa lingua...)

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  14. Alla fine è tutto un gioco e noi siamo tutti amici, a parte Armida e l'ENTITA'.
    Perchè c'è un ENTITA' dentro la casa. ;)
    Vero?
    E Armida anche se l'ho creata io, mi spaventa.
    Nessuno sa di cosa sia capace.
    Non ancora.LOL

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  15. @Nick: ma perchè armida???
    @Davide: ok :P

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  16. Perchè il nome Armida?
    E' presto detto. Volevo un nome che non fosse banale, che fosse ricordato. In più nella mia vita ho sempre avuto ragazze con nomi poco comuni. Ad esempio mia moglie si chiama Venusia (dal personaggio di Goldrake).
    In più amo i nomi medievali.
    Sul personaggio invece, volevo un entità delusa e tradita,desiderosa di vendicarsi ma ancora innamorata.
    Però qui mi fermo perchè non voglio influenzare nè te nè chiunque altro dei nuovi scrittori.
    Anche se ho idea di lavorare ad un prequel prima o poi.
    E qui terrò io conto delle vostre variazioni.
    Ciao, un saluto.

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  17. Armida è un personaggio bellissimo, ma lo sono tutti, interessanti. Ho subito amato la storia, il tormento di Stefano, Gaetano, Santini, Rosa.
    Ancora Ancora!
    Attendo con ansia...
    E' tutto così eccitante...!!!!
    Ebook--->Film ---> And the OScar goes to David Maine, director, Nick Drake, producer etc etc...

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  18. Mani, mani, mani!
    Mi affascinano, ed è lo stesso motivo per cui i ragni mi spaventano: sembrano piccole mani nere, pronte a cavarti gli occhi.

    Mani, mani, mani!

    Grazie per questa convergenza di fobie, questo capitolo me lo son proprio goduto!

    Shaggley, dinosauro col pollice opponibile

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  19. ragazzi applaudirei ma non mi sembra il caso.. comunque bellissimo!

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  20. Bello il tono dark di questo episodio. E la segnalazione del b-movie alla fine mi ha colpito... in effetti tutto sta prendendo una piega grottesca. Casuale o premeditata?

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  21. Ma braaavi, braaavi... chevvepossino!! !__!

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  22. Eddy. Trasudi gelosia da tutti i pori. La prossima volta partecipa anche tu. Più siamo più ci divertiamo.;)

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  23. Se avevo qualche dubbio sulle potenzialità di questo esperimento tu e Nick siete riusciti a farmeli passare. Compliments!

    C'è però un aspetto che un pochino mi turba. È una questione di approccio. Ci tengo a sottolinearla anche se per ora non costituisce certo un problema:
    "Il bello delle case infestate è che non ci sono regole di sparizione, ma chérie."

    Non vorrei che un'affermazione del genere fosse letta come "Vale tutto".
    Non sono un maniaco della coerenza a tutti i costi, però ecco, non vorrei veder le cose deragliare per volontà di esasperare l'effetto sorpresa o per un eccesso di colpi di scena gratuiti, che son magari gratificanti per chi li immagina, ma rischiano di rendere ingestibile il complesso della narrazione.

    Just my due cent.


    (Captcha: emilypor. È la casa che parla?)

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  24. Secondo me state architettando qualcosa alle spalle di noi poveri mortali...
    LOOOOOOOOL

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  25. Buona osservazione, Iguana.
    Ci affidiamo al buon gusto dei partecipanti per evitare che la libertà offerta dalla casa infestata diventi anarchia assoluta.

    In effetti, la ricerca del colpo di scena a tutti i costi è il rischio maggiore.
    ma è un rischio che siamo pronti a correre, no? ;-)

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